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Approfondimenti

Le nuove frontiere della responsabilità amministrativa

Le nuove frontiere della responsabilità amministrativa: operatori pubblici e danno erariale

L'istituto della responsabilità amministrativa (1), profondamente mutato a seguito delle innumerevoli riforme che hanno investito l'intero il settore pubblico, coinvolge tendenzialmente i soggetti che abbiano causato, direttamente o indirettamente, un danno all'apparato statale nell'esercizio di specifiche funzioni amministrative.
Il legislatore, sin dal 1923 (2), con il susseguirsi di leggi spesso disorganiche e multiformi aveva attribuito alla Corte dei Conti la giurisdizione sul danno arrecato allo Stato a causa della condotta antidoverosa dei pubblici funzionari.
  La Costituzione, all'art. 103,secondo comma, nell'individuare la Corte dei Conti (3)quale magistratura avente giurisdizione nelle materie della contabilità pubblica e "nelle altre specificate dalla legge", ha lasciato alla discrezionale valutazione del legislatore ordinario la disciplina sostanziale e processuale afferente alla concreta attribuzione della giurisdizione relativamente alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa.
Oggi, alla luce dei numerosi interventi normativi che hanno più volte ridisegnato l'istituto, può ormai affermarsi che lo stesso legislatore, salvo casi espressamente previsti (4), ha inteso ravvisare nella Corte dei Conti il giudice naturale della responsabilità amministrativa.
La caratteristica fondamentale della responsabilità amministrativa-contabile si rinviene nella sua natura "pubblica" in quanto il pregiudizio erariale che la presuppone si riverbera innegabilmente sull'intera collettività. Ne consegue che l'azione finalizzata al ristoro dei danni patiti dalla p.a. ha natura obbligatoria e non discrezionale specialmente se si consideri che la tutela dell'interesse finanziario di tutto il settore pubblico rappresenta il compito precipuo della Corte dei Conti.
Non va sottaciuto altresì che questa particolare forma di responsabilità, prescindendo dalla sua dibattuta natura giuridica, ha come unico effetto il risarcimento del danno a favore della pubblica amministrazione in veste di ente esponenziale degli interessi dei consociati.
L'evoluzione vertiginosa che ha coinvolto l'intero sistema burocratico con l'obiettivo di porre finalmente gli apparati pubblici in una dimensione "paritetica e collaborativa" giustapposta alle esigenze dell'utenza, pare aver tracciato un ampio varco suscettibile di dare ingresso a nuove e molteplici ipotesi di responsabilità finora pressoché inimmaginabili: basti pensare al danno scaturente dalla violazione di interessi legittimi consacrato dalla storica sentenza della Cassazione n. 500 del 1999 e dalla legge n. 205 del 2000, al danno all'immagine degli enti pubblici, ovvero al c.d. danno da disservizio. E' intuibile che siffatte circostanze generino un immediato effetto propulsivo su quegli operatori del settore pubblico particolarmente attenti alle trasformazioni in itinere, orientandoli quindi verso la concreta attuazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione enucleato dall'art. 97 della Carta Costituzionale.
Occorre infine sottolineare che il concetto di responsabilità amministrativa differisce dal concetto di responsabilità contabile esclusivamente per la specificità delle obbligazioni che incombono sui soggetti sottoposti a quest'ultima (maneggio di beni, denaro, valori, etc.).
Ravvisandosi, viceversa, identità negli elementi costitutivi, può affermarsi che la responsabilità contabile risulti modellata sullo stesso paradigma che caratterizza la c.d. responsabilità amministrativa.

In linea di principio risultano assoggettabili a questa particolare forma di responsabilità tutte quelle persone legate ad una pubblica amministrazione da un rapporto qualificato.
L'art. 28 della costituzione, nel fissare la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione di diritti, ha introdotto un precetto di carattere generale che vede chiamati a rispondere dei danni arrecati al patrimonio pubblico tutti coloro che nell'esercizio delle rispettive funzioni abbiano determinato o concorso a determinare un depauperamento erariale. L'istituito in questione si estende per un ampio raggio coinvolgendo una pluralità di soggetti, siano essi pubblici o privati ovvero persone fisiche o giuridiche, legati da un rapporto di appartenenza lato sensu alla pubblica amministrazione.
A questo proposito l'evoluzione giurisprudenziale, orientata ad ampliare la cerchia dei soggetti passivi cui applicare la responsabilità amministrativa-contabile, ha introdotto un ampio concetto di rapporto qualificato: il "rapporto di servizio". Dunque, può sostenersi che la responsabilità amministrativa oltre a coinvolgere i soggetti incardinati presso la struttura pubblica in virtù di un rapporto di impiego, si estende a tutti coloro che abbiano partecipato al concreto svolgimento dell'attività amministrativa anche se tale attività sia risultata meramente occasionale del servizio.
Occorre ora individuare le principali fonti normative che disciplinano l'istituto al fine di comprendere le motivazioni che hanno indotto la giurisprudenza a ritenere ragionevole l'estensione della responsabilità, fino a ricomprendervi soggetti privati non incardinati strutturalmente nel contesto statale. 
Il r.d. 2440/1923, recante disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, agli artt. 82 e 83 stabilisce rispettivamente: "l'impiegato che per azione od omissioni, anche solo colposa, nell'esercizio delle sue funzioni, cagioni un danno allo stato, è tenuto a risarcirlo …", e "I funzionari di cui ai precedenti articoli … sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti…".
Il r.d. 1214/1934 "testo unico delle leggi sulla Corte dei Conti" all'art. 13, primo comma, enuncia: "La Corte… giudica sulle responsabilità per danni arrecati all'erario da pubblici funzionari, retribuiti dallo Stato, nell'esercizio delle loro funzioni…"; all'art. 44 stabilisce: "La Corte giudica, con giurisdizione contenziosa, sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare denaro pubblico … e di coloro che si ingeriscono senza legale autorizzazione negli incarichi attribuiti a detti agenti; all'art. 52 recita: "I funzionari impiegati e gli agenti, civili e militari, compresi quelli dell'ordine giudiziario e quelli retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni statali ad ordinamento autonomo, che nell'esercizio delle loro funzioni per azioni od omissioni imputabili anche a sua colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra amministrazione dalla quale dipendono sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti …".
Il d.p.r. n. 3 del 57 "Testo unico sugli impiegati civili dello Stato" ha dedicato un intero capo ( II ) all'istituto in argomento, prevedendo all'art. 18 la "violazione degli obblighi di servizio" quale causa genitrice della responsabilità per danni cagionati allo Stato e, all'art. 19 la correlativa giurisdizione della Corte dei Conti. 
Il d.lgs.vo n. 29 del 1993 "razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego", all'art. 59 richiama la disciplina vigente in materia di responsabilità amministrativa-contabile cui sottoporre i dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Dopo una lunga serie di provvedimenti, culminati con la legge 639/96, si è giunti ad una riformulazione dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 là dove, da un lato appare individuato un quadro normativo di riferimento pressoché omogeneo, e dall'altro risultano chiaramente enucleati i seguenti corollari: a) la responsabilità è personale e non si estende agli eredi se non quando vi sia stato un previo arricchimento del dante causa responsabile riverberatosi in un indebito arricchimento degli eredi medesimi; b) la responsabilità sussiste esclusivamente per fatti ed omissioni commessi con dolo o colpa grave; c) la responsabilità non si estende al merito delle scelte discrezionali; d) fermo restando il c.d. potere riduttivo ex art. 52 r.d.1214/34, è legislativamente riconosciuto il beneficio della compensatio lucri cum damno a favore del responsabile per i vantaggi comunque conseguiti dalla p.a.; e) nel caso di deliberazioni di organi collegiali, la responsabilità è imputabile solo a coloro che hanno espresso voto favorevole; f) la responsabilità non si estende ai titolari di organi politici che in buona fede abbiano approvato, consentito o autorizzato l'esecuzione dei relativi atti; g) nel caso in cui il danno risulti cagionato da più persone vige la regola della parziarietà passiva dell'obbligazione risarcitoria, salvo la solidarietà passiva nei confronti di coloro che hanno agito con dolo o che abbiano conseguito un illecito arricchimento; h) la sussistenza della responsabilità amministrativa-contabile finanche a carico degli amministratori e dipendenti pubblici che abbiano cagionato un danno ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza. Quest'ultimo assunto trova un referente costituzionale nell'art. 98, primo comma Cost., secondo cui "i pubblici impiegati sono al servizio della nazione" e pertanto dell'intera collettività amministrata.
  Con il d.lgs.lvo. n. 76 del 28 marzo 2000 "Principi in materia di contabilità delle Regioni" il legislatore ha fatto ricorso alla consueta tecnica normativa del rinvio, statuendo, all'art. 33, che "gli amministratori e i dipendenti della regione, per danni arrecati nell'esercizio delle loro funzioni, rispondono nei soli casi e negli stessi limiti di cui alla legge 14 gennaio 1994, n. 20 e 20 dicembre 1996, n. 639. Si applicano alle indicate ipotesi di responsabilità gli istituti processuali valevoli per i dipendenti delle amministrazioni statali".
Da ultimo, il recentissimo Testo unico sull'ordinamento degli enti locali - d.lgs.vo 267/2000 - all'art. 93, oltre ad effettuare un chiaro rinvio alle disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato, individua specificatamente altre categorie di soggetti sottoposti alle norme sulla responsabilità finanziaria.

Venendo ora alla individuazione dei destinatari della nuova disciplina della responsabilità finanziaria occorre premettere che in materia il contributo della giurisprudenza si è rivelato di significativa importanza.
E' noto che il d.lgs.vo n. 29 del 1993 ha introdotto il principio della netta distinzione tra organi svolgenti funzioni di indirizzo politico ed organi svolgenti funzioni amministrative. In ossequio a questo principio la legge n. 20/94 esclude la responsabilità dei titolari di funzioni esclusivamente politiche.
A questo proposito la giurisprudenza (5), nell'affermare la sussistenza di un rapporto di servizio tra il Ministro e la p.a., in ragione del suo inserimento nell'apparato pubblico, ha ravvisato la necessità di porre in luce una linea di demarcazione tra "atti politici o di governo" (in quanto tali sottratti al controllo giurisdizionale (6)) e "atti di mera gestione della cosa pubblica", tra cui sono annoverabili gli atti di c.d. "alta amministrazione". In relazione a questi ultimi, infatti, la posizione dell'organo politico, e quindi del Ministro, non si differenzia da quella di qualsiasi altro soggetto preposto all'esercizio di pubbliche funzioni e può quindi dar luogo all'insorgere di responsabilità amministrativa per danno erariale, atteso che tali atti - pur nell'ampia discrezionalità che li caratterizza - sono comunque legati ai fini prefissati dalla legge e pertanto sottoposti a sindacato da parte del giudice(7).
Tuttavia, laddove le funzioni del Ministro si risolvano in una mera attività di vigilanza nei confronti di enti sottoposti al controllo del relativo dicastero, l'approvazione di una delibera illegittima e pregiudizievole da cui sia scaturito un danno finanziario, non può essere considerata quale elemento atto a far sorgere l'esistenza del rapporto di servizio tra il Ministro medesimo e l'ente, atteso che la valutazione circa la congruità delle delibere dell'ente medesimo resta pur sempre confinata in un mero contesto di controllo (8).
Quanto alla individuazione degli operatori pubblici strutturalmente incardinati nel disegno organizzativo della pubblica amministrazione, non si rinvengono problematiche particolari atteso che la loro enumerazione risulta puntualmente operata dalle molteplici fonti normative in rapporto alle specifiche attribuzioni istituzionali di ciascun operatore. A titolo meramente esemplificativo, si possono citare i pubblici funzionari retribuiti dallo Stato, dagli enti locali e dagli enti pubblici, i dirigenti generali, i capi dei servizio, gli agenti incaricati della riscossione delle entrate, il personale civile e militare retribuito dall'amministrazione, il personale medico, ecc.
La questione degna di nota, al riguardo, consiste nella soluzione del quesito se attribuire o meno la responsabilità a quegli operatori pubblici sopra indicati che, nell'ambito delle rispettive funzioni amministrative, abbiano svolto attività di consulenza, di controllo, ovvero abbiano fornito pareri in seno ad una procedura amministrativa conclusasi con un provvedimento lesivo degli interessi finanziari dello Stato.
Relativamente all'attività di controllo, la giurisprudenza si mostra consolidata nell'escludere la responsabilità a carico dei magistrati della Corte dei conti chiamati al controllo istituzionale degli atti procedimentali posto che l'esercizio del controllo si estrinsecherebbe in un'attività di mero accertamento, in posizione di assoluta indipendenza rispetto al provvedimento oggetto di sindacato, e di estraneità nei confronti del suo procedimento formativo (9). D'altronde il visto della Corte dei conti in sede di controllo sugli atti di impegno o sui titoli di spesa ha ad oggetto la sola legittimità dell'atto e non preclude innanzi alla stessa Corte, in sede giurisdizionale, l'accertamento giudiziale della illiceità dell'atto medesimo e l'attribuzione della conseguente responsabilità amministrativa a carico dei funzionari pubblici coinvolti nel procedimento (10).
Per ciò che concerne invece l'attività di consulenza interna con particolare riguardo ai pareri forniti in seno ai procedimenti di rispettiva competenza, gli orientamenti giurisprudenziali non si appalesano uniformi. Da un lato, si esclude la responsabilità amministrativa sia nell'ipotesi di manifestazione di pareri favorevoli circa la legittimità di delibere comportanti impegni di spesa attuate da organi di vertice - monocratici e/o collegiali (11)- , sia nell'attività di consulenza esterna, dove si è ritenuta l'insussistenza di responsabilità, in capo ad un legale del Comune, nella manifestazione di un parere favorevole all'opposizione a decreti ingiuntivi, atteso che - in un giudizio ex ante di valutazione giuridica dei fatti - la soccombenza dell'Ente locale non appare così assoluta e prevedibile (12).
Dal lato opposto, si ritiene sussistere la responsabilità amministrativa degli amministratori e del segretario comunale che abbiano espresso parere favorevole in ordine alla legittimità di delibere approvate ed attuate senza il relativo impegno contabile (13).
Come accennato, la complessità dei settori e dei procedimenti che investono l'intero operato della pubblica amministrazione, inducono quest'ultima ad avvalersi con sempre maggior frequenza dell'ausilio di soggetti esterni onde assicurare che l'azione amministrativa, nei molteplici settori in cui si esplica, sia caratterizzata da connotati di professionalità, efficienza ed efficacia; cosicché detti soggetti partecipano e si inseriscono nell'attività propria dell'apparato amministrativo.
Passando all'individuazione di questi soggetti privati, potenzialmente assoggettabili alla giurisdizione contabile, può affermarsi che tutte le volte in cui la p.a. procura di affidare un'attività di sua spettanza istituzionale ad un soggetto esterno all'apparato burocratico, sorge nei confronti di quest'ultimo l'assoggettamento alla responsabilità finanziaria per gli eventuali danni cagionati alla collettività. Naturalmente detta regola non è priva di eccezioni in quanto nel panorama normativo si rinvengono situazioni di rilievo che escludono la giurisdizione della Corte dei Conti e pertanto l'istituto della responsabilità amministrativa nei confronti di taluni enti e dei rispettivi funzionari. A tal proposito, la Corte Costituzionale ha stabilito il principio secondo cui l'art. 103, comma secondo, Cost. prevede il carattere della tendenziale e non assoluta generalità della giurisdizione della Corte de conti, sicché ad es. la responsabilità di un impiegato dell'ente poste italiane non può essere sussunta nell'ambito della disciplina dell'istituto della responsabilità finanziaria, bensì nel panorama normativo del codice civile (14).  Il susseguirsi di interventi giurisprudenziali tutti orientati all'individuazione dell'esistenza del "rapporto di servizio" relativamente a fattispecie oltremodo dubbie, ha contribuito a delineare un prezioso quadro esegetico di riferimento sia per gli operatori pubblici che per gli studiosi del diritto, particolarmente attenti all'analisi delle pronunce della Corte di Cassazione in seno ai giudizi di giurisdizione. Risultano pressoché consolidati gli orientamenti della giurisprudenza volti a ravvisare la sussistenza del rapporto di servizio con la p.a. in capo ai liberi professionisti incaricati della progettazione di un'opera pubblica nell'interesse della stessa Amministrazione, atteso che la prestazione del progettista andrebbe ad inserirsi in un contesto di progressiva definizione dell'opera e come tale idonea ad assolvere ad una funzione oggettivamente pubblica (15). 
Parimenti, è stato ravvisato il rapporto di servizio in senso lato nella prestazione del direttore dei lavori di un'opera pubblica poiché questi, con la sua attività, si è reso compartecipe dell'azione amministrativa dell'ente pubblico preponente, a nulla rilevando l'estraneità agli uffici tecnici dell'ente e lo status di professionista privato (16).
Verso la medesima direzione muove quel filone giurisprudenziale (17) incline a considerare legittimati passivi nel giudizio di responsabilità amministrativa-contabile quei professionisti incaricati di dirigere i lavori di allestimento di mostre, esposizioni, fiere, ecc., in virtù della affinità intercorrente tra la loro opera e la prestazione del concessionario di opere pubbliche o di pubblico servizio. Al riguardo, occorre sottolineare che il titolare di una concessione di pubblico servizio, in quanto dotato di poteri e funzioni pubbliche, viene unanimemente annoverato tra i soggetti esposti a questa particolare responsabilità.
La propensione della giurisprudenza contabile all'ampliamento delle fattispecie di responsabilità finanziaria risulta evidente soprattutto laddove non si attribuisce alcuna rilevanza al carattere straordinario e temporaneo della prestazione professionale e al mancato inserimento permanente nel disegno organizzativo di un Ente pubblico (18). Questo orientamento alquanto estensivo, non risulta del tutto condiviso dalla Cassazione che ha ritenuto non estensibile la disciplina della responsabilità amministrativa nei confronti di un avvocato nominato difensore di un ente locale nell'ambito di una vertenza, considerando che l'espletamento della difesa non sarebbe sufficiente a mutare un rapporto privatistico di opera intellettuale in un rapporto di pubblico servizio, a sua volta presupponente non solo lo svolgimento di attività in favore della pubblica amministrazione ma, anche, l'inserimento nell'organizzazione di quest'ultima (19).
Ad ogni modo, le interpretazioni estensive del concetto di responsabilità amministrativa risultano continuamente alimentate e rafforzate da copiose pronunce. In queste, è dato ravvisare il rapporto di servizio con l'ente pubblico anche in capo ad amministratori di enti privati, i quali, incaricati dall'ente pubblico di svolgere programmi di attuazione di progetti socialmente utili (nella specie, corsi di formazione professionale), abbiano compiuto atti di gestione in pregiudizio dei fondi finanziati ed erogati dallo stesso ente pubblico (20), ovvero siano ricorsi ad una cattiva utilizzazione dei finanziamenti attraverso l'attuazione meramente apparente, inutile o inadeguata dei programmi, privando quindi l'ente pubblico e la collettività amministrata delle utilità che sarebbero derivate da un corretto uso dei fondi (21)e cagionando, nel contempo, una grave perdita di fiducia e di prestigio nelle potenzialità amministrative della pubblica amministrazione (22).  In questo contesto si inseriscono armonicamente sia tutte quelle forme di responsabilità scaturenti dalla vendita di beni del patrimonio pubblico a prezzi eccessivamente esigui, donde il danno erariale caratterizzato dal mancato introito dell'ordinario prezzo di mercato (23), sia quelle forme di responsabilità conseguenti all'esecuzione di lavori su beni culturali senza la prescritta autorizzazione della soprintendenza, donde il danno erariale contraddistinto dalle spese sostenute dalla p.a. per il ripristino dell'opera in conformità ai correlativi vincoli culturali, storici, archeologici, ecc (24)...
Il complesso sistema normativo dunque risulta oggetto di interpretazioni orientate verso nuovi "sbocchi" che vedranno coinvolti pressoché tutti quei soggetti che a qualsiasi titolo "si trovino a maneggiare denaro pubblico", anche di provenienza comunitaria, atteso che qualsivoglia attività improntata ad una cattiva gestione del denaro pubblico si riflette direttamente o indirettamente in un danno a scapito della collettività amministrata.
La Corte dei conti (25), nel confermare la giurisdizione contabile sulle persone giuridiche, muove dall'ontologica ricchezza di sfaccettature della responsabilità amministrativa, la quale presenta oltre ad un aspetto preventivo, un aspetto sanzionatorio strettamente collegato alla valutazione della colpevolezza, ed infine un aspetto risarcitorio connesso al danno cagionato. Attraverso un'operazione ermeneutica tesa ad evitare la centralizzazione di uno degli indicati aspetti, risulterà possibile, nel caso concreto, valutare sia le peculiarità del soggetto agente che l'esigenza di salvaguardia delle risorse pubbliche in un ottica di buon andamento della p.a.
Ne discende che la mancata esposizione di una persona giuridica alla responsabilità amministrativa-contabile creerebbe l'introduzione di un'inammissibile impunità, ritenendosi, tra l'altro, che anche nei confronti delle persone giuridiche sia ipotizzabile un'indagine sull'elemento psicologico, avendosi riguardo al comportamento delle persone fisiche che agiscono per l'ente in forza di un rapporto organico. 

Affinché possa ravvisarsi una ipotesi di responsabilità amministrativa-contabile è imprescindibile la compresenza dei seguenti fattori: a) l'esistenza del rapporto di servizio nei termini già illustrati, b) l'esercizio di un'azione amministrativa contraria ai fini istituzionali nell'espletamento di una funzione connessa al rapporto di servizio, al di fuori della quale sussisterebbe soltanto una responsabilità civile, c) l'esistenza di un danno concreto ed attuale suscettibile di quantificazione anche equitativa, d) l'elemento psicologico del dolo e della colpa grave caratterizzati da connotati in parte diversi da quelli elaborati nel diritto penale, e) l'esistenza di un nesso causale tra la condotta dell'agente ed il danno all'erario.

3.1 L'azione amministrativa contraria ai fini istituzionali

L'azione amministrativa degli operatori pubblici può assumere manifestazioni differenti in relazione alla "quantità di potere decisorio" di cui dispongono per l'attuazione dei fini istituzionali prefissati dall'ordinamento. In linea di principio si può effettuare una triplice distinzione: attività priva di potere discrezionale, attività a potere discrezionale limitato, attività ad ampio potere discrezionale.
Nel contesto pubblico si ravvisano molteplici fattispecie in cui l'agente risulta preposto a svolgere un'attività di mera attuazione della legge, per cui, in siffatte ipotesi, non sorgono problematiche circa la verifica della conformità della sua condotta alle regole normative. In altri termini, allorquando l'agente abbia posto in essere un'azione ovvero un'omissione in violazione immediata degli obblighi sottesi al rapporto che lo lega con la pubblica amministrazione, risulta agevolmente possibile individuare una condotta antidoverosa, e quindi generatrice di responsabilità, qualora al comportamento antigiuridico si accompagni la simultanea presenza degli ulteriori fattori (colpevolezza, nesso causale, danno) concorrenti a determinare la responsabilità amministrativa-contabile.
Va, anzitutto, precisato che il concetto di antigiuridicità non è necessariamente legato all'illegittimità del provvedimento amministrativo scaturito dalla condotta antidoverosa, poiché la responsabilità amministrativa si fonda sulla contrarietà del comportamento dell'agente ai doveri del suo ufficio e non già sulla illegittimità dei provvedimenti. L'illegittimità dell'atto può costituire, tutt'al più, un potenziale elemento di giudizio per il giudice contabile, chiamato a giudicare principalmente sull'antigiuridicità della condotta del funzionario (26). 
Le considerazioni che precedono conducono a sostenere che il giudizio di responsabilità amministrativa innanzi alla Corte dei conti e quello di legittimità innanzi al Giudice amministrativo si palesino diversi sia per causa petendi sia per petitum. Il primo giudizio, infatti, tende ad accertare l'esistenza di un danno erariale e mira ad una condanna risarcitoria, mentre il secondo tende ad accertare l'illegittimità di un atto amministrativo e a statuirne, se del caso, il relativo annullamento. Consegue che, in presenza di un atto amministrativo divenuto inoppugnabile, il giudice della responsabilità ha comunque cognizione piena nell'apprezzamento della liceità dei comportamenti degli amministratori che tale atto adottarono (27).
Al riguardo è significativa una recente pronuncia della Cassazione (28) secondo cui, ai fini della verifica della responsabilità, a seguito di danni derivati all'Amministrazione per indebiti inquadramenti retributivi disposti a favore di dipendenti pubblici, è irrilevante che il giudice amministrativo abbia preventivamente accertato l'illegittimità, o meno, dell'atto posto in essere dagli amministratori. Dunque, la semplice illegittimità di un atto amministrativo non è di per sé sufficiente a fondare la responsabilità degli autori.
La questione diviene oltremodo complessa laddove non inerisca la stretta osservanza della legge, ma si polarizzi sul concetto di discrezionalità, che, come noto, trova un limite invalicabile nel raggiungimento dei fini istituzionali attraverso attività legate a canoni di logica e ragionevolezza. La giurisprudenza, nell'esaminare la fattispecie concreta, verifica se il funzionario abbia posto in essere un'azione improntata ai criteri menzionati. A tal fine, muove da un giudizio ex ante (29) volto ad accertare se, alle medesime condizioni e circostanze, un operatore pubblico di preparazione ed attenzione media avrebbe fatto uso del potere discrezionale giungendo a determinazioni non dissimili attraverso un percorso costantemente sorretto da criteri di efficienza, economicità, efficacia ed imparzialità, tali da guidarlo verso una reale soddisfazione degli interessi collettivi. Naturalmente, una tale verifica risulta piuttosto scabrosa atteso che il giudice non sempre dispone di un referente normativo in cui sussumere la fattispecie concreta, quindi dovrà necessariamente rilevare l'idoneità del comportamento rispetto allo scopo istituzionale prefigurato tramite ua ricerca metodologica che ponga mente ai principi di opportunità suindicati.
Va, però, tenuto presente il diverso atteggiarsi della discrezionalità ai fini di una corretta valutazione della condotta dell'operatore pubblico. Qualora questa appaia aprioristicamente limitata all'applicazione delle regole del "sapere scientifico" (c.d. discrezionalità tecnica), l'analisi dell'antigiuridicità del comportamento risulta facilitata in quanto diretta essenzialmente a verificare l'applicazione corretta o meno delle regole specialistiche. 
Ad una tale verifica si giunge sovente tramite il ricorso alla consulenza tecnica. 
A titolo meramente pragmatico, si può citare il caso di un chirurgo chiamato a rifondere le spese sostenute dall'azienda ospedaliera per il risarcimento danni a favore dei familiari di un paziente deceduto a seguito di un intervento operatorio. Il ruolo del giudice contabile, in siffatta ipotesi, consiste prevalentemente nel verificare se il chirurgo abbia applicato correttamente tutte quelle regole specialistiche di cui si avvale la scienza in quel preciso momento storico.
Problematiche alquanto diverse sorgono in seno ai giudizi aventi ad oggetto le attività caratterizzate da un ampio potere discrezionale in cui la condotta del funzionario va valutata in termini di opportunità, soprattutto laddove questi abbia dovuto effettuare una ponderazione degli interessi pubblici coinvolti. 
A questo proposito il legislatore, all'art. 1 primo comma della legge n. 20/1994, in ossequio al principio di separazione dei poteri, ha statuito "l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali". Da un'attenta esegesi della norma emerge che lo stesso legislatore non ha voluto escludere il sindacato sulla discrezionalità, all'opposto ha inteso fissare una linea di demarcazione oltre la quale il giudice non può spingersi. Sebbene la distinzione tra discrezionalità e merito non sempre si manifesti con estrema chiarezza, rimangono fermi i principi, unanimemente accolti in dottrina e giurisprudenza, secondo cui il sindacato sull'attività discrezionale dell'operatore pubblico rappresenta uno strumento di legalità volto a verificare che l'uso del potere discrezionale non trasmodi in arbitrio e quindi non si estrinsechi in scelte prive di qualsivoglia contenuto minimo di ragionevolezza.
D'altro canto, non può essere assolutamente sindacata una scelta discrezionale qualora non si palesi illogica e non contrasti in maniera evidente con criteri di economicità ed efficienza (30) e non si concretizzi in una evidente abnorme violazione di ogni principio di ragionevolezza (31).
E' utile ora operare un'analisi particolareggiata delle tipiche azioni amministrative fondanti la responsabilità finanziaria, tenuto conto principalmente delle elaborazioni giurisprudenziali che hanno contribuito a segnare il punto di arrivo di una evoluzione ermeneutica tutt'altro che lineare.
In quest'ottica assume rilievo anzitutto la problematica relativa ai rapporti tra percezione illecita di somme di denaro (c.d. tangente) da parte di pubblici funzionari e configurazione della responsabilità amministrativa a carico degli stessi, nell'ambito degli appalti pubblici e di tutte quelle ulteriori procedure volte all'acquisizione di beni e servizi in favore della p.a.
Risulta ormai consolidato l'orientamento che riconosce la giurisdizione della Corte dei conti in materia (32), muovendosi dalla considerazione secondo cui nel caso di corresponsione di "tangente" da parte di un imprenditore - allo scopo di aggiudicarsi un appalto - ad un pubblico funzionario, la somma oggetto di dazione diventerebbe un potenziale elemento di costo per lo stesso imprenditore, e quindi non può configurarsi come atto di liberalità. Invero, il versamento della "tangente" ha come controprestazione favoritismi o irregolarità (es. inadeguato controllo delle quantità e della qualità dei materiali forniti) che esporrebbero la pubblica amministrazione a costi superiori, dovendosi presumere che l'imprenditore abbia aumentato il prezzo ovvero abbia eseguito i lavori e/o le forniture in modo deteriore, almeno per l'importo sufficiente a recuperare le somme erogate per tangenti; mancherebbe, altrimenti, una convenienza economica all'aggiudicazione degli appalti stessi.
Pur non negandosi la giurisdizione del giudice contabile, è utile sottolineare che la percezione di tangenti non costituisce di per sé il fondamento della responsabilità, occorrendo al riguardo, la dimostrazione della compresenza degli ulteriori elementi che la caratterizzano. In proposito, la stessa Corte de conti (33), oltre non ravvisare la responsabilità del funzionario - per la percezione di "tangenti" connesse alla aggiudicazione di appalti - in mancanza della prova del rapporto tra la dazione illecita ed il maggior costo dell'opera o del servizio, considera l'importo delle tangenti un elemento sì utile alla determinazione del pregiudizio erariale ma non un fattore risolutivo e idoneo a stabilire una apodittica corrispondenza tra l'importo delle dazioni illecite e l'entità del danno (34).
Un'ulteriore problematica afferisce all'individuazione di ipotesi di responsabilità nelle "gestioni societarie" poste in essere dagli Enti locali. La materia ha costituito oggetto di una disciplina legislativa pressoché organica, ora trasfusa negli artt. 112 e segg. del d.lgs.vo 267/2000 "nuovo testo unico dell'ordinamento degli Enti locali", in cui si riconsacra il principio di attribuzione agli Enti locali del potere di perseguire i fini collettivi attraverso la costituzione o la partecipazione in enti, anche con distinta personalità giuridica, allo scopo di garantire la fornitura di servizi pubblici tramite strutture meno burocratizzate ma pur sempre in funzione strumentale alla realizzazione degli interessi collettivi. Naturalmente la relazione tra l'Ente locale e l'ente strumentale varia al variare degli assetti e del potere di controllo di cui il primo dispone sul secondo. 
In linea di principio, tutte le volte in cui l'ente rappresenti uno strumento organizzativo (diretto e indiretto) dell'Ente pubblico, sorge l'obbligo per quest'ultimo di attendere ai doveri di controllo previsti dalla legge, con particolare riguardo al controllo sulla gestione finanziaria, giacché la mala gestio dell'ente controllato avrebbe ripercussioni sul patrimonio collettivo, senza che assuma alcun rilievo la previsione di un'autonoma personalità giuridica dell'ente medesimo.
Qualora il perseguimento dei fini sociali avvenga attraverso la costituzione o la partecipazione in società per azioni, la legge, allo scopo di contenere i rischi di un andamento economico negativo della società, non consente l'azionariato unico dell'Ente locale, poiché, in tal modo, si metterebbe a serio repentaglio il patrimonio di questi in ragione della illimitata responsabilità patrimoniale gravante sull'unico socio di società commerciali, arrecando, quindi, un forte pregiudizio al denaro collettivo confluito nelle casse dell'Ente locale.
  La giurisprudenza (35), in linea con i principi suesposti, ha riconosciuto la responsabilità per culpa in vigilando a carico dei Sindaci di un Comune che nel corso del loro mandato avevano omesso di controllare il generale andamento della gestione di una S.p.a. (costituita per la gestione di un servizio sociale), tralasciando di esercitare l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di questa resisi responsabili di una gestione sprezzante delle regole di economicità, efficienza ed efficacia. Per di più, nel caso de quo, essendo l'Ente locale risultato l'unico azionista della società, è emerso con immediatezza il grave pregiudizio per la finanza pubblica dovuto ai sistematici finanziamenti che il Comune erogava al fine di coprire le costanti perdite generate dalla cattiva gestione della S.p.a.
Nella gestione degli apparati pubblici vige il principio generale secondo cui la p.a. deve espletare le attività di rispettiva competenza avvalendosi dei propri organi ed uffici.
Tuttavia, il ricorso all'opera di soggetti esterni risulta consentito nei casi previsti dalla legge ovvero in relazione ad eventi straordinari non superabili con la struttura burocratica esistente e giustificati dalla straordinarietà del caso (36). Ad ogni modo, al fine di orientare le scelte amministrative ai criteri di economicità, efficacia ed efficienza, è opportuno che si effettui un'attenta valutazione del grado di convenienza, in termini di rapporto costi/benefici, con particolare riguardo a quelle consulenze che hanno ad oggetto attività rientranti nella competenza degli uffici dell'Ente.
Alla luce delle considerazioni che precedono, è plausibile ritenere che possa escludersi la responsabilità dei dirigenti di un Ente pubblico, i quali abbiano affidato consulenze a studi legali esterni nonostante disponessero di uno staff di avvocati incardinato nel disegno organizzativo dell'Ente medesimo, laddove si dimostri, ad esempio, che i propri legali risultavano tutti assorbiti dal contenzioso pendente, ovvero che la consulenza riguardava materie particolarmente complesse (consulenze in materia di diritto internazionale, di diritto comunitario, ecc.). In ogni caso, qualora dovessero ravvisarsi ipotesi di responsabilità, nella quantificazione del danno non può comunque prescindersi dal computo dei vantaggi realizzati dalla p.a. avvalsasi della consulenza esterna (37).
Analoghe questioni appaiono prospettabili in relazione alla riscossione dei tributi (imposte, tasse, oneri di urbanizzazione, etc.), attività preminente dello Stato nel raggiungimento dei fini sociali.
Come noto, la pubblica amministrazione dispone di poteri coercitivi attraverso i quali procedere al recupero coattivo di tributi non versati; è altrettanto noto che, in virtù della "certezza dei rapporti giuridici", siffatti poteri vanno esercitati con modalità ed entro i termini stabiliti dalla legge. Orbene, in caso di mancata attuazione delle procedure d riscossione dei tributi da parte del pubblico funzionario entro il prescritto arco temporale, sorgerebbe a carico di quest'ultimo un obbligo risarcitorio verso l'erario, in termini di minori entrate, per avere vanificato con la sua condotta le ragioni di credito della p.a. verso i soggetti inadempienti.
Con una recentissima pronuncia, la Corte dei conti (38), in applicazione di questi principi, ha ritenuto sussistere la responsabilità del segretario comunale per il danno arrecato al Comune a causa della mancata riscossione della T.O.S.A.P. 
In proposito, sebbene appaiano condivisibili le ragioni fondanti la sussistenza della responsabilità, non va sottaciuta una precisazione fondamentale: non risulterebbe logicamente accettabile una decisione che ponesse a carico del pubblico funzionario l'intero credito erariale non riscosso, poiché nel giudizio di responsabilità deve tenersi conto delle circostanze, non remote, che avrebbero comunque resa infruttuosa un'azione di recupero esiziale intentata nel rispetto dei termini fissati dalla legge; basti pensare ai numerosi contribuenti debitori privi di beni assoggettabili ad esecuzione coattiva, ovvero al sorgere di una potenziale contestazione sulla pretesa erariale dinanzi al giudice tributario conclusasi poi con l'accertamento della illegittimità di detta pretesa. 
E' evidente che siffatte circostanze sono addirittura idonee ad escludere la sussistenza della responsabilità amministrativa-contabile in capo all'operatore pubblico che dimostri di non aver proceduto al recupero erariale proprio al fine di evitare ulteriori e inutili costi a carico del bilancio pubblico, e quindi di avere tenuto un comportamento assolutamente rispettoso delle finalità istituzionali.
Per concludere, nell'ambito delle principali condotte amministrative suscettibili di responsabilità finanziaria, vanno annoverate tutte quelle azioni poste in essere in violazione di interessi legittimi di cittadini, i quali abbiano poi ottenuto una sentenza di condanna contro la p.a. alla rimessione in pristino dello status quo ante e/o al pagamento di somme di denaro a loro favore.
Come anticipato, con la sentenza 500/99 è stata finalmente consacrata la risarcibilità degli interessi legittimi, ora normativizzata dalla legge 205/2000 che consente al giudice amministrativo di condannare la p.a. per i danni arrecati agli amministrati a causa di provvedimenti illegittimi.

Il Giudice Amministrativo, in alcuni casi, ha già condannato pesantemente la pubblica amministrazione a rifondere i danni cagionati. Sul tema si annotano pronunce in materia di appalti pubblici, in cui oltre ad annullare le procedure di aggiudicazione ( come avveniva per il passato) si condanna la p.a. aggiudicatrice a risarcire le imprese illegittimamente escluse dall'aggiudicazione, a titoli di danni patiti a causa del mancato guadagno e dell'utile economico che sarebbe derivato in caso di regolare aggiudicazione dell'appalto (39).
Si rinvengono, altresì, numerose decisioni di condanna della p.a. alle spese di soccombenza del giudizio per non aver tenuto alcun conto, in sede amministrativa, di istanze prima facie fondate presentate da taluni cittadini e per avere inoltre, con difese temerarie in sede giudiziaria, perseverato nella non curanza delle legittime aspettative dei cittadini medesimi. Al riguardo, la Corte dei conti (40), ha individuato un'ipotesi di responsabilità amministrativa a carico di un Sindaco e dei componenti della giunta, per avere, rispettivamente, perseverato nell'illegittimo diniego di rilascio di copie documentali, e per aver temerariamente deliberato di resistere nel successivo giudizio innanzi al giudice amministrativo, conclusosi con la condanna della p.a. alle spese di soccombenza a causa della condotta antigiuridica degli operatori pubblici.
L'argomento sarà ripreso in sede di valutazione dell'elemento psicologico del dolo o della colpa grave, quali fattori imprescindibili ai fini della configurazione della responsabilità amministrativa-contabile. Qui, appare utile sottolineare che, nell'immediato futuro, i bilanci pubblici verranno ad essere gravati da pesanti poste risarcitorie specialmente a seguito di condanne per violazione di interessi legittimi.
Ne conseguirà il coinvolgimento di tutti quegli amministratori pubblici, in termini di responsabilità finanziaria, qualora si provi che dall'antigiuridicità della loro condotta sia scaturito un danno in pregiudizio delle casse pubbliche. Si tratta, quindi, di fattispecie di danno indiretto, ossia d quel danno conseguente all'erogazione da parte della p.a. di una somma di denaro a favore di terzi disposta a seguito di sentenza; l'erogazione di detto risarcimento costituisce il presupposto per l'esercizio dell'azione di rivalsa ex art. 22 d.p.r. n. 3 del 1957. Seguirà certamente una sorta di responsabilizzazione dell'attività dei pubblici dipendenti nei confronti degli interessi dei cittadini. Forse, non assisteremo più a pronunce (41) giurisprudenziali del seguente tenore : "va condannata al risarcimento del danno una Amministrazione Comunale la quale ha elevato illegittimamente, tramite il Corpo dei Vigili Urbani, una contravvenzione per violazione al codice della strada e si è rifiutata di annullare detta contravvenzione nonostante che l'interessato ne avesse comprovato l'illegittimità ( nella specie era stata confermata una contravvenzione per violazione dell'art. 158 del codice della strada - divieto di accesso in zona ZTL - nonostante che l'interessato avesse fatto presente di essere munito di permesso per accedere al centro storico ). Spetta infatti al privato cittadino, costretto a far presente in modo defatigante una situazione che lo sottrae al potere repressivo in tema di circolazione stradale, oltre al risarcimento del danno patrimoniale finanche il risarcimento del danno alla salute", causato dallo stress che il cittadino ha patito per far fronte ad un comportamento irresponsabile della p.a. che, nel rifiutarsi di annullare la contravvenzione de qua - attraverso l'ordinaria azione di autotutela -, ha costretto lo stesso cittadino ad adire le vie giudiziarie e quindi ad intraprendere uno snervante percorso di tutela, altrimenti evitabile.

3.2 Il dolo e la colpa grave

L'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, così come modificato dalla legge 23 ottobre 1996 n. 543, oltre a stabilire il principio della personalità della responsabilità amministrativa, sancisce la regola secondo la quale gli amministratori ed i dipendenti pubblici rispondono solo dei fatti e delle omissioni connotati da dolo o da colpa grave.
In precedenza, salvo specifiche ipotesi (42) espressamente individuate, l'addebito minimo atto a fondare la responsabilità amministrativa-contabile consisteva nella colpa lieve, identificata dalla giurisprudenza con la mancanza di una diligenza media da parte dell'impiegato La limitazione della responsabilità finanziaria ai soli casi di dolo e colpa grave appare ragionevole alla luce delle complesse evoluzioni normative che hanno indotto ad una consistente lievitazione dei doveri posti a carico dei pubblici dipendenti e di conseguenza ad un aumento delle fattispecie di responsabilità corrispondente all'incremento dei menzionati doveri. 
E' stato autorevolmente sostenuto (43) che la nuova strutturazione dell'elemento psicologico "ha svolto una funzione riequilibratrice, adeguando il sistema della responsabilità amministrativa alla nuova realtà della pubblica amministrazione".
La Corte Costituzionale (44), chiamata a pronunciarsi circa la ragionevolezza delle norme che limitano la responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, nonché del sistema di estensione indifferenziata del livellamento della responsabilità a tutte le categorie di dipendenti ed amministratori pubblici, ha rilevato come la normativa in questione si collochi "nel quadro di una nuova conformazione della responsabilità amministrativa e contabile" ispirata dalla necessità di "predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilità non esponga all'eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell'attività amministrativa".
Si delinea così un sistema in cui risulta possibile determinare "quanto del rischio dell'attività debba restare a carico dell'apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità una ragione di stimolo, e non di disincentivo". 
In quest'ottica, al cittadino che subisce un danno dalla pubblica amministrazione risulterà conveniente azionare una pretesa risarcitoria nei confronti dell'Ente pubblico, e non del funzionario che ha posto in essere la condotta antidoverosa, atteso che in tal modo è possibile far valere, oltre al dolo e la colpa grave, finanche la colpa lieve del c.d. "Apparato". A questo punto occorre individuare i connotati del dolo e della colpa grave che caratterizzano l'elemento psicologico della responsabilità amministrativa-contabile.
In primo luogo, non va sottaciuto che il confine tra il dolo e la colpa grave si manifesta estremamente labile, così come il confine tra la colpa grave e la colpa lieve non consente un giudizio immediato sulla sussistenza o meno di ipotesi di responsabilità.
Gli sforzi interpretativi della dottrina e della giurisprudenza, sebbene abbiano contribuito a delimitare l'estensione dei rispettivi elementi psicologici, non hanno ancora fissato una vera e propria linea di demarcazione atta a porre in luce, con esattezza, le diversità insite in ciascuno di essi. Il che evidenzia come la valutazione del giudice nel caso concreto assuma un'importanza non trascurabile.
Per quanto attiene al dolo nella responsabilità amministrativa, si ritiene (45) che questo si identifichi con la semplice volontà di non adempiere agli obblighi di servizio precostituiti. 
Diversamente invece si atteggia il dolo nella responsabilità penale che si caratterizza come diretta e cosciente intenzione di nuocere, ossia di agire ingiustamente a danno di altri da parte di persona imputabile (46).
La colpa grave consisterebbe in una sprezzante trascuratezza dei doveri d'ufficio resa palese da un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza, ovvero da una particolare non curanza dell'interesse della p.a. o ancora da una grossolana superficialità nell'applicazione delle norme di diritto (47).
L'assenza di una linea di confine tra le due figure traspare laddove si ponga mente che il dolo, nelle sue forme estreme, giunge quasi a coincidere con quella grossolana superficialità nell'applicazione delle norme a causa della sprezzante trascuratezza degli obblighi di servizio. D'atro lato, si è osservato (48) come la distinzione fra colpa semplice e colpa grave si ottenga rapportando il comportamento in concreto osservato dall'agente con quello che sarebbe stato necessario in ossequio a specifiche prescrizioni normative o comunque desumibili dalle comuni regole di cautela; ed il raffronto va effettuato utilizzando due criteri di valutazione, l'uno oggettivo (relativo all'individuazione dello standard di diligenza richiesto) e l'altro soggettivo (relativo alla valorizzazione delle cause che hanno indotto l'agente a discostarsi dalle prescritte regole di prudenza).
In linea con i criteri suindicati si muove la prevalente giurisprudenza (49), incline ad escludere la responsabilità amministrativa nelle ipotesi di errore professionale scusabile, rinvenibile, ad esempio, nella obiettiva difficoltà interpretativa delle norme, ovvero in ipotesi di irrazionale ed incongrua situazione organizzativa riconducibile esclusivamente all'amministrazione.
Un'ulteriore fattore rilevante nella determinazione dello specifico elemento psicologico, consiste nella esatta individuazione delle competenze poste a carico del pubblico dipendete. Infatti, qualora si ravvisassero delle violazioni scaturenti da un'attività amministrativa riconducibile ad un soggetto incaricato dello svolgimento di mansioni superiori a quelle per le quali fu assunto, non risulterebbe condivisibile una eventuale condanna a suo carico, posto che si accentrerebbe il giudizio sulla violazione di un "non" obbligo di servizio.
Un'ultima questione, oggetto di frequenti pronunce giurisprudenziale afferisce alla qualificazione della condotta dei dirigenti che abbiano emesso provvedimenti causativi di pregiudizio erariale affidandosi alle valutazioni dei responsabili degli uffici amministrativi forniti di specifiche competenze tecniche.
Si ritiene che non sia ravvisabile l'elemento del dolo o della colpa grave nel comportamento dannoso dell'assessore regionale ovvero del presidente della giunta, i quali, nell'emettere il provvedimento illegittimo, abbiano riposto affidamento sulle valutazioni dei responsabili amministrativi del settore forniti di specifica competenza tecnica (50).

3.3 Il danno risarcibile e il c.d. potere riduttivo

Posto che la violazione degli obblighi di servizio dell'operatore pubblico costituisce la causa genitrice dei danni patiti dalla p.a., sorge, a questo punto, la necessità di individuare la natura giuridica di siffatti danni donde applicare ragionevoli criteri di quantificazione strettamente correlati all'identità dei beni giuridici lesi.
Siamo di fronte ad una giurisdizione che si qualifica per risarcitoria e pertanto è il fattore danno che assume rilevanza ai fini dell'esercizio dell'azione di responsabilità, rimanendo ovviamente estranei alla stessa i comportamenti che non abbiano poi integrato il pregiudizio risarcibile. Si deve, conseguentemente, ritenere che è la dannosità del comportamento compiuto, ossia comprensivo dell'evento antigiuridico danno, e non il comportamento in quanto tale - e quindi fine a se stesso - ad assumere rilievo determinante ai fini della configurazione di ipotesi risarcitorie.
La verifica della sussistenza del danno consiste in un accertamento circa la compresenza dei requisiti di "concretezza" ed "attualità" idonei a configurarne l'esistenza. Di qui, due postulati: l'evento dannoso deve essersi già verificato e risultare, altresì, irrecuperabile o irreversibile. Il danno, come già rilevato, può essere diretto qualora la condotta antidoverosa abbia avuto conseguenze perniciose esclusivamente ed immediatamente verso l'Apparato pubblico, ovvero indiretto, laddove la p.a. abbia dovuto risarcire i terzi danneggiati dal fatto illecito del funzionario commesso nell'esercizio delle pubbliche funzioni. 
Il danno conseguente alla violazione di interessi legittimi degli amministrati, a causa della condotta dolosa o gravemente colposa dell'operatore pubblico, andrà ad annoverarsi sicuramente nel quadro delle ipotesi di danno indiretto.
Il concetto di danno risarcibile è risultato notevolmente ampliato a seguito degli evolutivi interventi ermeneutici della giurisprudenza, tuttora orientata ad allargarne l'area di operatività.
E' ormai consolidato l'orientamento che ammette, oltre alla rifusione del danno materiale, la risarcibilità del danno non patrimoniale caratterizzato, però, da connotati peculiari che lo rendono diverso rispetto a quello subito dai soggetti privati. Invero, qui non si tratta di valutare le conseguenze di sofferenze fisiche e morali di una persona fisica (c.d. pretium doloris) bensì le conseguenze scaturenti dalla lesione a beni giuridici immateriali quali il prestigio della personalità della p.a., il clima di fiducia imperante verso le istituzioni, l'ordinato svolgersi della vita sociale, ecc.
Il danno non patrimoniale, al contrario del danno patrimoniale, è insuscettibile di essere provato nel suo preciso ammontare, per cui la relativa monetizzazione non può essere compiuta se non con criteri equitativi e non deve poi risultare palesemente sproporzionata per difetto od eccesso.
Una recente pronuncia della Cassazione (51) ha posto in luce il distinguo concettuale intercorrente tra danno non patrimoniale e danno morale: il primo comprenderebbe ogni conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento bensì di riparazione; il secondo consiste nella cosiddetta "pecunia doloris" ed assolve alla funzione di assicurare al danneggiato (persona fisica) una utilità sostitutiva delle sofferenze patite.
Di qui il rilievo secondo cui il danno non patrimoniale, diversamente dal danno morale, comprende quegli effetti lesivi che prescindono dalla personalità giuridica del danneggiato e pertanto appare riferibile anche a enti e persone giuridiche.
Una tipica fattispecie di danno, recentemente divenuta oggetto di frequenti pronunce, si identifica col c.d. "danno all'immagine della p.a.", considerato dalla prevalente giurisprudenza contabile di natura non patrimoniale e suscettibile di fondare l'ipotesi risarcitoria ancorché il fatto dell'operatore pubblico non sia penalmente rilevante e non abbia determinato l'insorgenza di danni materiali (52).
La giurisprudenza che all'opposto identifica il danno all'immagine quale danno di natura patrimoniale (53), muove dalla considerazione secondo cui il danno de quo, risulterebbe offensivo di interessi e valori idonei a comportare profili di valutazione economica, al contrario dei danni non patrimoniali che sono da riferire al concetto di danno morale subiettivo e come tale non estensibile oltre l'ambito delle persone fisiche.
Tale interpretazione non può essere condivisa, soprattutto alla luce delle differenze concettuali tra danno non patrimoniale e danno morale poste in rilievo dalla Cassazione, la quale, nel negare che tra le due figure sussistesse una sorta di corrispondenza, ha riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale a favore delle persone giuridiche, evidenziando funditus sia le caratteristiche proprie del danno non patrimoniale che i connotati peculiari del danno morale.
Il danno all'immagine si sostanzia fondamentalmente nella lesione al prestigio e all'onore dell'ente dinanzi alla pubblica opinione, nonché nella compromissione del rapporto di trasparenza, fiducia e lealtà che lega i cittadini all'apparato pubblico.
Un grave nocumento al bene giuridico "immagine" della p.a. segue specialmente a comportamenti delittuosi dei pubblici funzionari (concussione, corruzione, ecc.), poiché producono sempre una perdita di prestigio dell'Amministrazione cui consegue il discredito sul senso di imparzialità e sul corretto operare degli uffici, nonché il timore di favoritismi e di pratiche persecutorie, di fronte alle quali il cittadino avverte un senso di sgomento e frustrazione. 
E' intuibile come il rapporto di fiducia tra cittadini ed apparato amministrativo venga eziologicamente incrinato dal comportamento illecito del funzionario pubblico, e come gli obiettivi dell'azione amministrativa ne risultino pregiudicati.
Di creazione giurisprudenziale è anche il c.d. "danno da disservizio", identificabile nel mancato raggiungimento dell'utilità che il legislatore prevedeva di ricavare dal regolare ed ordinario funzionamento del servizio affidato all'operatore pubblico. Si sostiene (54) che il danno da disservizio rivesta natura patrimoniale e che sia caratterizzato da connotati addirittura diversi dal danno "per mancato rendimento del servizio" in cui la condotta del funzionario si inserisce al di fuori del rapporto di immedesimazione organica.
Sia il danno patrimoniale da disservizio che il danno non patrimoniale all'immagine, benché consistenti nella lesione di beni (il regolare servizio e l'immagine dello Stato) inidonei a costituire oggetto di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato, costituiscono, in ogni caso, interessi direttamente protetti dall'ordinamento, ed in quanto tali rivestiti di valore economico alla stregua di qualsivoglia altro bene immateriale.
La questione afferisce, dunque, ad ipotesi di lesioni di beni immateriali, sicché la connessa valutazione va effettuata in via equitativa (art. 1226 cod. civ.), tenendosi conto della rilevanza dei riflessi negativi causati dall'azione del dipendente infedele nei confronti dell'ente pubblico, in ragione del principio di buon andamento che costituisce un canone fondamentale dell'azione amministrativa, sancito dalla Costituzione (55). 
A questo proposito, il giudice, nella fissazione dei parametri su cui fondare il giudizio equitativo, potrà ragionevolmente tener conto delle spese sostenute dall'Ente che abbia attuato un'operazione di risanamento della propria immagine attraverso iniziative varie, che abbiano richiesto investimenti, da non escludere anche operazioni divulgative attraverso il ricorso alle moderne tecniche pubblicitarie o di marketing (56).
Il giudice non può, però, procedere alla quantificazione del danno non patrimoniale - ex art.1226 - secondo criteri assolutamente discrezionali, ma deve utilizzare parametri inerenti alla fattispecie, indicando i criteri seguiti per determinare l'entità del risarcimento, sia pure nell'ambito di un ampio potere discrezionale. 
Se così non fosse, a qualsiasi comportamento contrario ai doveri d'ufficio di un operatore pubblico, andrebbe a correlarsi, immediatamente ed apoditticamente, l'esistenza di un danno all'immagine della p.a.(57) .
Nel quadro delle innovazioni introdotte all'istituto della responsabilità amministrativa-contabile assume rilievo il comma 1 bis della legge n. 20 del 1994, aggiunto dall'art. 3 dalla legge 639/1996, che recita: "Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità".
Il legislatore ha inteso introdurre, a favore del responsabile, oltre al c.d. "potere riduttivo" anche la c.d. compensatio lucri cum damno. Quest'ultima protende a compensare il pregiudizio subito con il vantaggio conseguito dall'amministrazione a seguito del medesimo fatto illecito. A questo proposito, al giudice è imposto di liquidare un danno che tenga conto dell'utilitas scaturita dall'illecito e di ridurre, quindi, proporzionalmente l'importo del danno stesso (58).

Il potere riduttivo assume finalità e connotazioni diverse.
Agli artt. 83, 52 e 19, rispettivamente del r.d. 2440/1923, r.d. 1214/1934 e d.p.r. 3/1957, il legislatore ha previsto la possibilità che la Corte dei conti possa "porre a carico dei responsabili tutto il danno accertato o parte di esso".
Si tratta di una prerogativa tipica del giudice contabile che postula una valutazione complessiva del comportamento di un funzionario o di un amministratore, in relazione a tutte le circostanze nelle quali esso ha agito ed al grado di influenza avuto nella causazione del danno. E' opportuno che il giudice tenga conto del contesto reale in cui l'operatore pubblico si è trovato ad operare, con particolare riguardo alle disfunzioni amministrative di carattere generale non riferibili a uno o più soggetti determinati.

Si ritiene (59) che il potere riduttivo non possa essere applicato alle ipotesi di danno conseguente a comportamento doloso del convenuto. Il panorama giurisprudenziale rivela l'esistenza di una copiosissima casistica in cui ha trovato applicazione l'esercizio di questo potere sui generis, ed in cui risultano presi in considerazione molteplici parametri atti a giustificarne l'attuazione concreta. Vediamo ora le fattispecie maggiormente significative. In relazione al ferimento di un militare di leva causato da un commilitone, per imperizia e negligenza nell'uso di un fucile in dotazione, l'esercizio del potere riduttivo si giustifica per la giovane età del commilitone, per la sua inesperienza nella pratica delle armi e per il contesto ambientale costituito dall'omessa vigilanza dei superiori gerarchici sulla tenuta delle armi (60).
Paradigmatico, anche il caso dei danni derivati da un incidente stradale causato da un vigile del fuoco, il quale non ha rispettato un obbligo di dare precedenza. Si è ritenuto che la scarsa esperienza e la giovane età del conducente rappresenti un elemento idoneo a giustificare l'esercizio del potere de quo (61), atteso che questo potere non ha riguardo soltanto alla valutazione dell'elemento soggettivo del responsabile bensì, anche, alle circostanze oggettive in presenza delle quali si è verificato l'evento dannoso.
Ulteriori parametri di riferimento si rinvengono sia nelle condizioni reddituali del responsabile sia in quelle di salute in cui il medesimo ha operato, con particolare riferimento allo stress psicofisico (62).

Premesso che esula dai poteri della P.A. quello di adottare, a favore dell'operatore pubblico responsabile, un provvedimento "riduttivo" del debito erariale, è ragionevolmente prevedibile che quest'ultimo non avrà alcun vantaggio ad onorare il suo debito direttamente all'Amministrazione danneggiata che lo costituisca in mora, non potendo questa riconoscergli alcuna forma di sconto.
Al responsabile, pertanto, converrà attendere una pronuncia del giudice contabile che, disponendo del "potere riduttivo", potrà accordare anche una considerevole riduzione del debito.

3.4 Il nesso causale

Concludendo, sono opportune alcune considerazioni sul nesso eziologico intercorrente tra la condotta dell'operatore pubblico e la causazione del danno.
Si tratta di accertare se il danno subito dall'Amministrazione sia conseguenza immediata e diretta delle azioni od omissioni trasgressive dei doveri e degli obblighi di servizio.
E' nota l'insufficienza normativa in materia e la necessità di mutuare principi ed istituti propri del diritto penale. 
La giurisprudenza della Corte dei conti coadiuva alla base normativa di cui agli artt. 41 e 42 del codice penale le disposizioni dell'art. 1223 del codice civile.
Come precedentemente osservato, la trasgressione ai doveri emergenti dal rapporto di servizio non va valutata ex se ma in rapporto alla concreta efficacia svolta nella provocazione del danno. Problemi interpretativi sorgono, soprattutto, nella valutazione delle cause e delle concause che hanno determinato il pregiudizio, in relazione alla collocazione del soggetto agente nell'ambito del contesto amministrativo che ha costituito il "focolaio" da cui è poi scaturito il danno.
I giudici contabili applicano generalmente il principio della causalità adeguata, effettuando una valutazione ex ante volta a rilevare se la causa è risultata, da sola o unitamente ad altre, idonea a produrre l'evento dannoso, escludendosi però la sussistenza del nesso eziologico là dove il danno sia il risultato di un evento straordinario od eccezionale.
L'art. 1, comma 1 quater, della legge n. 20 del 1994, nel disciplinare l'ipotesi del concorso di persone nella causazione del danno, stabilisce che "se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, una volta valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso". In sostanza, la condanna di ciascun operatore pubblico risulta correlata all'apporto causale di questi nella produzione del danno.
E' evidente che siamo di fronte a valutazioni rimesse al prudente apprezzamento del giudice che, caso per caso, dovrà verificare la sussistenza del rapporto causale ponendo mente ai molteplici fattori che hanno concorso alla causazione del danno, senza peraltro escludere le disfunzioni croniche dell'apparato amministrativo, in presenza delle quali la condotta del responsabile può risultare favorita (63).
Orbene, il risultato di una siffatta valutazione dovrebbe condurre ad una negazione parziale di responsabilità in capo al soggetto responsabile e, nel contempo, all'affermazione di una concorrente responsabilità in capo ai funzionari che abbiano omesso di effettuare gli appositi controlli cui erano preposti per verificare la correttezza delle condotte amministrative dei presunti responsabili. 
A questo proposito, è ragionevole ritenere che l'eventuale dolo dell'appaltatore pubblico, il quale esegua le opere in difformità dalle prescrizioni contrattuali, non è idoneo ad escludere la concorrente responsabilità del direttore dei lavori, il quale, nel porre in essere una inadeguata attività di sorveglianza, ha senz'altro facilitato la irregolare realizzazione delle opere (64). E' altrettanto ragionevole ravvisare il nesso concausale tra il danno erariale e la condotta del direttore di un ufficio, il quale, nel sottoscrive in bianco alcuni "buoni di riscossione", ha facilitato ed agevolato la condotta di un dipendente infedele, che ha successivamente riempito e riscosso i suddetti buoni per fini privati (65).
In siffatte circostanze, la Corte dei conti, attraverso un prudente apprezzamento dei fatti, condannerà ciascuno dei soggetti responsabili al risarcimento di una somma di denaro, commisurata all'apporto personale di ognuno di essi nella causazione del danno.
In numerose ipotesi, invece, la giurisprudenza ha posto addirittura un diaframma tra la condotta ed il danno erariale successivamente verificatosi, escludendo che il comportamento dell'operatore pubblico abbia determinato l'insorgenza diretta ed immediata di quel danno. Si ritiene ad es. che vada esclusa la responsabilità amministrativa dei consiglieri comunali che adottino una deliberazione avente per oggetto un mero progetto di massima e non un progetto tecnico di dettaglio con immediata operatività, atteso che per la sua efficacia necessitano idonei atti esecutivi, in mancanza dei quali difetta il nesso causale tra la predetta delibera - avente natura programmatoria e non esecutiva - ed il presunto danno (66).
Risulta, infine, esclusa la responsabilità amministrativa, per mancanza del nesso causale, a carico del funzionario che abbia sospeso l'efficacia degli atti pregiudizievoli da lui stesso disposti, e che sono stati invece poi riconfermati dai funzionari succedutisi nell'incarico, nella pienezza delle proprie competenze e nella assoluta autonomia delle conseguenti decisioni (67).

(1)Tale istituto non trova corrispondenti in altri ordinamenti europei in cui vigono regole diverse circa la tutela dell'interesse finanziario dello Stato inteso nel suo complesso. In Francia risulta applicabile solo il giudizio di conto caratterizzato da principi e procedure dissimili dal giudizio di responsabilità.
(2)r.d. 18 novembre 1923, n. 20; r.d. 23 maggio 1924, n. 827 ; r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; r.d. 13 agosto 1933, n. 1038; artt. 28 e 97 Cost.; d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3; d.p.r. 30 giugno 1972, n. 748; art. 15 legge 5 marzo 1961, n. 90; art. 1 legge 31 dicembre 1962, n. 1833; art. 11 legge 30 marzo 1965 n. 30; D.lgs.vo n. 29 del 1993; leggi 19 e 20 del 14 gennaio 1994 e successive modifiche; art. 33 d.lgs.vo n. 76 del 2000; D.lgs.vo n. 267 del 2000.
(3)Con gli artt. 58 e 64 della legge 142 del 1990, ora abrogata e sostituita dal D.lgs.vo 267 del 2000, fu sostanzialmente soppresso il dualismo "responsabilità per fatti di gestione" e "responsabilità per ulteriori comportamenti dannosi"; venne meno la necessità di porre in luce la distinzione, rispetto agli amministratori degli enti locali, tra responsabilità formale e generica responsabilità amministrativa. In tale contesto, risultava assoggettabile alla giurisdizione della Corte dei Conti soltanto l'attività di gestione e residuava al giudice ordinario la giurisdizione in tema di responsabilità per ulteriori azioni commesse con dolo o colpa grave. Un siffatto sistema si era subito rivelato incongruente con le finalità di tutela degli interessi finanziari degli enti poiché si lasciava al libero arbitrio dell'ente medesimo l'iniziativa circa l'azione di risarcimento danni dinanzi al g.o. Per contro, dapprima la legge 142 del 1990 e ora l'art. 93 del D.lgs.vo 267 del 2000, rinviano alle disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato là dove non è rinvenibile la distinzione suindicata. In particolare, l'art. 18 del Testo unico sugli impiegati civili dello Stato (d.p.r. n. 3 del 57), con una accezione onnicomprensiva, individua nella "violazione degli obblighi di servizio" il presupposto - fattore del risarcimento e nell'art. 19 la Corte dei Conti quale giudice della materia. Di qui la nascita di un "sistema unificato" di responsabilità che consente alla procura contabile (organo esterno all'ente, e pertanto oltremodo sensibile a perseguire azioni amministrativi) l'iniziativa per il risarcimento a fronte di qualsivoglia condotta pregiudizievole per l'erario.
(4) art. 18 della legge n. 349 del 1986 in materia di danno ambientale che attribuisce la giurisdizione al giudice ordinario. 
(5) Cass. sez. Unite, 13.11.2000, n. 1170 in merito al giudizio instaurato dal Procuratore Generale c/o la Corte dei Conti contro il ministro Salvatore Formica. 
(6)Cass. sez. Unite, 17.11.1989, n. 4904.
(7)Cass. sez. Unite, 16.04.1998, n. 3882; Corte dei Conti, sezioni riunite 29.07.1980, n. 248; 23.07.1984 n. 323; Corte dei Conti sez. I 12.11.1980 n. 106; sez. II 13.03.1989, n. 54. 
(8)Cass. sez. Unite, 14.05.1998, n. 487.
(9)Corte conti, sez. I, 12-05-1975, n. 35; Corte conti, sez. Riunite, 27-06-1969, n. 96.
(10) Corte conti, sez. Giurisdiz. Sardegna, 05-07-1994, n. 285
(11)Corte conti, sez. App. I, 21-07-1997, n. 154; Corte conti, sez. Giurisdiz. Sicilia, 14-04-1997; Corte conti, sez. Riunite, 12-12-1996, n. 77
(12) Corte conti, sez. Giurisdiz. Puglia, 29-03-1999, n. 24 
(13) Corte conti, sez. Giurisdiz. Calabria, 04-11-1994, n. 46 
(14) Corte cost. 22.07.1998 n. 307.
(15)Corte conti, sez. Giurisdiz. Molise, 17-12-1999, n. 194 ; contra Corte conti, sez. Giurisdiz. Toscana, 29-04-1997, n. 313 che, non ravvisando in capo al progettista poteri propri dell'ente pubblico, ne esclude la sussistenza del rapporto di servizio.
(16)Corte conti, sez. II, 14-04-1986, n. 101; Cass., sez. Unite, 24-07-2000, n. 515; Cass. civ., sez. Unite, 05-04-1993, n. 4060; Cass., sez. Unite, 24-07-2000, n. 515.
(17) Corte conti, sez. Giurisdiz. Veneto, 11-05-1999, n. 251.
(18)Corte conti, sez. Giurisdiz. Veneto, 11-05-1999, n. 251.
(19) Cass. sez. Unite, 18-12-1998, n. 12707 
(20) Cass., sez. Unite, 05-06-2000, n. 400.
(21)Cass. , sez. Unite, 22-12-1999, n. 926.
(22)Corte conti, III sez. centrale appello 29 gennaio 2001 n. 21/A in WWW.corteconti.it.
(23)Cass., sez. Unite, 28-10-1995, n. 11298.
(24) Corte conti, sez. Giurisdiz. Sicilia, 04-10-1995, n. 320.
(25)Corte conti, sez. Giurisdiz. lombardia, 18-10-2000, n. 1316
(26) Corte dei conti, sezioni riunite, n.269 del 23 marzo 1981.
(27)Corte conti, sez. Riunite, 13-01-1989, n. 596 
(28) Cass., sez. Unite, 10-07-2000, n. 469 
(29) Corte conti, sez. Giurisdiz. Puglia, 29-03-1999, n. 24 ; Corte conti, sez. Giurisdiz. Lazio, 17-02-1998, n. 20 ; Corte conti, sez. Giurisdiz. Toscana, 09-10-1996, n. 492 ; Corte conti, sez. Riunite, 03-06-1996, n. 30 - (30) Corte dei conti, sez. giur. Sicilia, n. 165 del 17.06.1999.
(31)Corte dei conti, sez. riunite, n. 624 del 11.07.1989. 
(32)Cass., sez. Unite, 02-04-1993, n. 3970; Cass., sez. Unite, 04-04-2000, n. 98; Corte conti, sez. Riunite, 25-10-1996, n. 63; Corte conti, sez. Giurisdiz. Piemonte, 20-10-1999, n. 1634.
(33)Corte conti, sez. Giurisdiz. Toscana, 06-10-1999, n. 1098, fattispecie in cui è stata esclusa la responsabilità del Sindaco di un Comune poiché la lievitazione dei costi, derivante dall'indebito concordamento di un nuovo prezzo, non era imputabile al Sindaco (percettore della tangente), bensì alla condotta del personale tecnico addetto alla direzione e contabilità dei lavori.
(34) Corte conti, sez. Giurisdiz. Fr.ven.giu., 29-12-1998, n. 435
(35)Corte dei conti, sez.giurisd. Lazio, 10 settembre 1999, n. 1015.
(36) Corte conti, sez. App. III, 22-03-1999, n. 55; Corte conti, sez. App. I, 09-11-1998, n. 313. 
(37)Corte dei conti, II sez. giurisd. centr., n.164 del 15.5.1997. 
(38)Corte dei Conti, sez. giurisd. Lazio, n. 348 del 22.01.2201.
(39) T.A.R. Catania, n.1559 del 12.08.2000 e n. 1699 del 20.09.2000. 
(40)Corte dei conti, sez.giurisd. Umbria n. 284 del 1997.
(41) Giudice di pace di Perugia, n. 115 del 26.04.2000.
(42)art. 1 L. n. 1833 del 1962; L. n. 69 del 1975; L. n. 67 del 1981; art. 61 L. n. 312 del 1980; art. 58. 142 del 1990. 
(43) Prof. Paolo Maddalena, Procuratore regionale della Corte dei conti per la regione Lazio - relazione in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 1997 -.
(44)Sentenze n. 54 del 1975; n. 164 del 1982 ; n. 411 del 1988; n. 1032 del 1988; n. 371 del 20-11-1998.
(45) Corte conti, sez. I giurisd., 26.05.1998, n. 149/A; 
(46)Corte conti, sez. riun. 25 ottobre 1996, n. 63/A.
(47)Corte conti , sez. III giurisd., 16.04.1998, n. 114/A.
(48)Corte conti , sez. Sardegna, n. 436 del 27 luglio 1995.
(49)Corte conti, sez. riunite nn. 317 del 1983 e 397 del 1985; Corte dei conti, sez. I centrale, 21.06.1996, n. 42 e Corte conti, sez. riunite 18.07.1996, n. 46.
(50) Corte conti, sez. Giurisdiz. Veneto, 17-04-1997, n. 307; 
(51) Cass. civ., sez. III, 03-03-2000, n. 2367 
(52)Corte conti, sez. Giurisdiz. Basilicata, 26-02-1999, n. 27 
(53)Corte conti, sez. Giurisdiz. Lombardia, 25-03-1999, n. 381
(54) Corte conti, sez. Giurisdiz. Umbria, n. 1 del 23-1-1998 , n. 252 del 4-3-1998, n. 501 del 28.5.98
(55) Corte conti, sez. Giurisdiz. Lombardia, 12-01-1996,
(56) Corte dei conti, II sez. giurisd. centrale Appello, 13.4.2000, n.134. 
(57)Corte dei conti, I sez. giurisd. centrale Appello, 28.06.1999.
(58)Corte conti, sez. Giurisdiz. Veneto, 11-10-1999, n. 519, fattispecie in cui è stato stabilito che gli interessi passivi pagati vanno depurati da quelli attivi, a loro volta maturati sulle somme trattenute - in giacenza di cassa -per un tempo più lungo del dovuto.
(59) Corte conti, sez. Giurisdiz. Toscana, 07-07-1999, n. 771
(60)Corte conti, sez. Giurisdiz. Lombardia, 02-06-1999, n. 610
(61)Corte conti, sez. Giurisdiz. Veneto, 12-05-1999, n. 252
(62)Corte conti, sez. App. III, 11-05-1998, n. 126
(63) Può costituire un indice sintomatico la carenza degli ordinari meccanismi di indirizzo e di controllo sull'operato del responsabile, propri di una p.a. regolarmente funzionante. 
(64) Corte conti, sez. Giurisdiz. Sicilia, 11-12-1995, n. 399 
(65)Corte conti, sez. Giurisdiz. Lombardia, 20-02-1995, n. 141 
(66)Corte conti, sez. Giurisdiz. Lazio, 05-08-1997, n. 55 
(67)Corte conti, sez. App. II, 24-10-1995, n. 34, fattispecie in cui un commissario prefettizio di una unità sanitaria locale, in ordine all'illegittimo inquadramento nei ruoli regionali del servizio sanitario nazionale del personale degli ex enti ospedalieri, aveva sospeso l'efficacia degli irregolari riconoscimenti di carriera da lui stesso disposti, ma poi riconfermati dagli amministratori che si sono succeduti nell'incarico